Come abbiamo imparato l’inglese in America?

Mamma guarda the sky è una delle frasi che Nicole, la mia seconda bimba, spesso componeva quando era più piccolina, mescolando termini in italiano e in inglese.

Quando siamo arrivati negli Stati Uniti, Nicole aveva appena 4 anni, Giulia 6 anni e la piccola Cecilia, 3 mesi.

Eccezion fatta per mio marito, nessuna di noi conosceva l’inglese.

Questa lingua è sempre stata un grande mistero per me e ho sempre pensato che mai l’avrei parlata e capita a meno che non fossi stata costretta.

Forse sono una veggente e non lo sapevo, ma è stato proprio così: siamo venuti a vivere negli Stati Uniti e ho dovuto fare i conti con il grande mistero!

Non mi posso definire una persona timida e questo mi ha aiutato tantissimo ad iniziare a “farfugliare” qualche parola necessaria per la sopravvivenza.

Le reminiscenze di quel libro delle scuole medie, con i dialoghi tra Sarah e Tom, una penna sul tavolo, una finestra aperta e qualcuno che chiamava al telefono, sono riapparse improvvisamente nella mia mente e mi hanno dato la giusta dose di coraggio per iniziare a dire almeno il mio nome e quello delle bambine.

Sapete cosa mi ha aiutato ad imparare l’inglese in America nel giro di pochi mesi?

La mia “arte imitatoria”, se così si può definire, è stata la mia salvezza.

Da quando ero piccolina ho sempre imitato tutti, dalla zia con la voce stridula, alla maestra, ai professori del liceo (se qualche compagna di classe sta leggendo, sono certa che può confermare).

Scherzi a parte, lo stimolo maggiore è stato sicuramente quello di essere la mamma di tre bimbe che, non conoscendo l’inglese, non erano in grado di comunicare.

Dovevo assolutamente far qualcosa per parlare con le maestre, con la dottoressa, con le mamme degli amichetti.

Non potevo sentirmi così fragile e vulnerabile e non tolleravo l’idea di sentirmi perduta quando mio marito non era nei paraggi e non poteva tradurre.

E le bambine come se la sono cavata?

E’ stato tutto più semplice di quello che immaginavo, soprattutto per le bimbe che hanno iniziato ad andare a scuola dotate, per i primi mesi, di un traduttore così che le maestre potessero comunicare con loro (smart phone con google transistor).

Giulia e Nicole sono state straordinarie, non hanno mai manifestato nemmeno un terzo della preoccupazione che ho avuto io quando qualcuno si rivolgeva a loro.

E’ stato interessante vedere come gestivano l’approccio alla nuova lingua in base alla propria personalità.

Giulia, precisa, razionale, soprannominata “la preside” da quando aveva tre anni per la sua capacità di gestire e controllare tutto, senza superbia e prepotenza, ma con la maturità di un adulto.

Lei doveva capire, studiare, inquadrare la situazione e, una volta avute le sue certezze, avrebbe parlato.

Così è stato.

Quando ha iniziato a parlare era perfetta, senza accento italiano e già con un buon livello grammaticale.

Alla fine dell’anno scolastico la sua maestra, entusiasta, la portava nelle altre classi a leggere e, nell’ultimo anno di permanenza a scuola, ha fatto anche l’annunciatrice al telegiornale dei ragazzi (clicca qui per il video racconto del telegiornale nella scuola in USA)

Nicole, la seconda delle tre sorelle: “io ci provo, può andare bene, può andare male e se non so cosa fare… invento!”

A Dicembre, dopo quasi quattro mesi dal nostro arrivo qui, durante una serata tranquilla, mentre cenavamo, improvvisamente ha iniziato a raccontare una lunghissima favola, tutta in inglese: Gingerbread man” (clicca qui per vedere il video).

Noi eravamo sconvolti e superfelici perchè Nicole è così: quando meno te lo aspetti,  ti sorprende.

Sapete come faceva lei all’inizio?

Aveva capito il meccanismo secondo cui bastava togliere qualche lettera qui e là,  togliere la fine della parola e il gioco era fatto.

Ricordo che una sera eravamo a cena dai nostri amici Israeliani, Inbal e Guy e i bimbi cercavano il telecomando della TV, ma nessuno di loro sapeva come dirlo in inglese.

Ad un certo punto Nicole intervenne con una naturalezza che anche un Americano ci avrebbe creduto e disse: I know! It’s “Telecomand”!

Ovviamente non posso dire che è sempre stato così divertente…

I primi tre mesi sono stati molto difficili.

…volevo aiutare Giulia nei suoi compiti, pur non avendone le competenze, ma non riuscivo…

Utilizzavo un’ applicazione del telefono per tradurre, impiegavamo anche tre ore per fare due schede semplicissime e Cecilia, ancora così piccola, richiedeva molte attenzioni.

Mi ritrovavo con un piede a cullare Cecilia nel passeggino mentre traducevo i compiti di Giulia con il traduttore e magari Nicole mi chiedeva se potevo aiutarla a colorare e ritagliare… Pomeriggi da incubo. 

CI SONO STATI MOMENTI IN CUI VOLEVO PRENDERE IL PRIMO AEREO, SCAPPARE IN ITALIA E PARLARE IN ITALIANO PER 24 ORE SENZA MAI FERMARMI.

Poi piano, piano, facendo la spesa, parlando con i vicini, guardando la TV con i sottotitoli in inglese e “imitando” gli Americani ho iniziato a parlare e capire sempre meglio.

Mio marito insisteva molto sul parlare in inglese anche a casa, ma io non ci riuscivo, anzi, mi infastidiva.

Ne capivo l’importanza e mi sforzavo di farlo, ma non era così semplice.

Solo quando ho visto che le bimbe iniziavano a “dimenticare” alcune semplici parole di Italiano introducendo i  termini inglesi , ho realizzato che era il momento di intervenire con un cambio di rotta detta “missione Save the Italian”, era il momento di iniziare a parlare in Italiano in casa, di alternare la lettura della buonanotte facendo una sera in italiano e una sera in inglese…

Con Cecilia è stato tutto un po’ diverso

Durante il primo anno di vita le ho parlato solo in Italiano. Lei era già immersa in un contesto inglese e tutto intorno a lei parlava questa lingua, quindi, sapevo che lei stava già assimilando.

E adesso come funziona?

Adesso Giulia Nicole e Cecilia, dopo tre anni dal nostro rientro in Italia, parlano, leggono, scrivono in inglese senza alcun problema, decidendo, al momento, quale lingua utilizzare…

E io?

Oggi, dopo gli anni di vita quotidiana in USA, i 40 Stati visitati e gli studi per migliorarmi quotidianamente… l’inglese… lo insegno 🙂

e vi dirò di più… mi sono specializzata nell’insegnamento per bimbi e ragazzi utilizzando il metodo “english is fun” della scuola di Bologna di Adriana Cantisani (ve la ricordate la Tata di “SoS Tata”? Sono andata da lei per imparare il suo metodo molto innovativo).

A riguardo… Mi permetto di dare un piccolo consiglio a tutti quei genitori che hanno l’opportunità di far parlare ai propri figli una seconda lingua:

se conoscete l’inglese o un’altra lingua, che sia lo spagnolo, il francese, il tedesco, sappiate che avete un tesoro nelle vostre mani, quindi non abbiate paura di regalarlo ai vostri bimbi.

Parlare una seconda lingua per loro è un dono meraviglioso che stimola le loro menti, la loro ricettività, crea loro opportunità per il futuro e, credetemi, vi stupirà la velocità e la facilità con cui la apprenderanno. Iniziate da semplici comandi:

prendi un bicchiere, chiudi la porta, siediti etc.

E se vi guardassero come se foste dei matti, sorridete e continuate.

Se si rifiutassero non vi scoraggiate, insistete.  Sfruttate la TV o i libri!

Proponete cartoni animati o film in lingua originale, con i sottotitoli.

Si abitueranno a sentire quei suoni e gli entreranno nella mente pur non volendo.

Comprate libri in inglese e utilizzateli per la fiaba della buonanotte. Come dicono gli Americans: “Don’t think about it, just do it!”

Al prossimo racconto,

la vostra Me the Middle One.

 

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